"Ci difenderemo.
La chiusura non la accettiamo"
La prima volta che siamo andati in Asl, planimetrie dell’immobile alla
mano, ci è stato detto: “Volete fare un ostello? Le leggi ci sono, dovete conoscerle.
Noi non diamo pareri preventivi. Voi fate l’ostello e poi noi usciamo per il
controllo. Se ci piace ok, altrimenti ve lo chiudiamo”.
Una volta acquisite maggiori informazioni, e data la risposta non
esattamente esauriente, la settimana successiva siamo tornati in Asl (l’ufficio
diciamo che non è aperto 24h/24). “Dovete prendere il regolamento d’igiene,
quello del 1985″. “Solo quello?”. “Si”. Non essendo del tutto convinti, la
settimana seguente siamo di nuovo lì: “Ma solo il regolamento dell’85?”,
chiediamo. “Effettivamente no, ci sono anche le successive modifiche…”. A
questo punto eravamo quasi terrorizzati. Quell’ “altrimenti ve lo chiudiamo”
riecheggiava nelle nostre teste fuori da Via Statuto.
Ci stavamo indebitando per più di 10 anni, non si poteva sbagliare.
Volevamo che tutto l’ostello fosse completamente “a norma”, “legale” ma nessuno
sapeva dirci cosa realmente dovessimo fare: Asl, Comune, Vigili del Fuoco,
Questura. Nessuno. In totale, prima di prendere in affitto l’edificio, siamo
stati 5 volte in Asl. Non è vero: siamo stati ricevuti 5 volte. Saremo andati
lì almeno il doppio.
Dopo aver sottoscritto il contratto d’affitto, abbiamo iniziato i lavori di
ristrutturazione.
Nello stesso periodo, abbiamo continuato ad andare in Asl. Nel frattempo,
senza che nessuno nei vari uffici ci dicesse nulla, abbiamo scoperto che
Regione Lombardia aveva emanato un nuovo regolamento per gli ostelli. Preso in
mano il regolamento, abbiamo constatato che la struttura da noi progettata
avrebbe soddisfatto ogni disposizione normativa. Tutte tranne una.
Infatti, alla lettera a dell’art. 8 del regolamento si stabilisce che ogni
camera non possa avere più di 6 posti letto. Indipendentemente dai metri cubi,
dai rapporti aero-illuminanti e dal numero di servizi.
Che potevamo fare? Nulla, l’immobile ormai era quello. Data la struttura
dell’edificio abbiamo superato ogni disposizione. Si richiedeva un distributore
automatico di merendine? Nella stanza più bella dell’immobile abbiamo fatto la
cucina per gli ospiti con annesso terrazzo. Aria condizionata negli spazi
comuni? Anche in ogni camera. Reception aperta 6 ore al giorno? 24h/24. Di
bidet neanche a parlarne? Bidet in ogni bagno (elemento d’italianità).
Possibilità di accesso a Internet? Wi-fi gratuito senza password. Bagni comuni?
No, bagni privati in ogni stanza. Eccetera eccetera eccetera.
A fine lavori, abbiamo chiamato il funzionario della Regione per fargli
vedere l’ostello, preoccupati per la nostra mancanza. “Ragazzi, ma veramente
pensate che queste norme vengano fatte per strutture come la vostra? Dovreste
invece trainare tutto il mondo degli ostelli lombardi”. Il dirigente ci aiuta a
scaricare dalla macchina una spesa e, complimentandosi ancora, se ne va.
Non facciamo in tempo a sentirci un po’ rincuorati che iniziano i
controlli: 15 visite ufficiali (e non) in 8 mesi. Tutto procede alla grande.
Tranne la visita Asl.
Ci contestano i letti in più: su dieci stanze, ci sono tre camere (di 25 mq
l’una più servizi) con quattro letti a castello, anziché tre. I metri cubi, i
servizi igienici, i rapporti aeroilluminanti andrebbero bene anche per 8
persone. Ma il regolamento dice “massimo 6″. I nostri ospiti sono entusiasti,
ma non importa.
Ora: l’assurdità di tutto questo è che siamo stati noi – noi – a dare ai
funzionari Asl il nuovo regolamento. Sì. Perchè si sono presentati con il
regolamento del 1985. Non sapevano neanche che ci fosse una nuova legge. Glielo
abbiamo detto noi, evidenziando da subito il punto su cui eravamo in difetto
(l’unico). Paradossalmente, se ci fossimo fidati solo dell’Asl avremmo fatto un
ostello completamente fuori norma. Avremmo rispettato la vecchia normativa e,
ad un ulteriore controllo, ci avrebbero costretto a decine (centinaia) di
migliaia di euro di adeguamenti.
A fine marzo, la Asl ci contesta i letti in più che avremmo dovuto
togliere. Ieri ci è arrivato dal Comune di Milano l’avviso di avvio del
procedimento di chiusura. Avremmo potuto togliere i letti in più ma non abbiamo
voluto. Quando è troppo, è troppo. Anche perchè, per esperienza, sappiamo bene
che se mettiamo a posto una cosa, poi ne contestano un’altra. Ora, basta.
Abbiamo speso più di 200mila euro solamente per adeguare la struttura ad
ogni normativa. Abbiamo speso 25mila euro solo per allargare di 4 cm una rampa
di scale perché si sosteneva che per andare dal primo piano all’uscita di
emergenza (al piano terra) si dovesse passare dal 3° piano. Paghiamo migliaia
di euro ogni anno per il semplice fatto che abbiamo delle chitarre e un
pianoforte a disposizione degli ospiti (vorrebbero che pagassimo anche per le
nacchere). Ogni giorno passiamo ore (certamente retribuite) per inviare alla
Questura i dati degli ospiti usando un simpatico quanto rapido software che, a
titolo puramente esemplificativo, riporta ancora la divisione Germania Ovest –
Germania Est.
Eccetera, eccetera, eccetera.
Paghiamo centinaia di migliaia di euro per l’INPS, abbiamo un credito d’IVA
enorme che riavremo in 10 anni, paghiamo ogni tassa, ogni contributo. Da
febbraio ci fanno chiudere alle 22 anziché alle 2, perché il settore commercio
non ha comunicato alle attività produttive (che avrebbe dovuto avvisare le
politiche ambientali) il nostro cambio orario. E, ovviamente, qui nessuno ha
pensato di lasciare a casa alcun lavoratore. Ce l’abbiamo messa tutta per
essere in regola, per fare impresa in modo pulito, per coniugare attività
imprenditoriale e finalità di utilità sociale. Quello a cui assistiamo ogni
giorno presso gli uffici pubblici riflette un’immagine drammatica sulla
possibilità di offrire qualcosa di meglio a se stessi, a questa città e a
questo Paese.
In ogni caso, se ci avessero irrogato una sanzione pecuniaria, l’avremmo
accettata. Certo: dopo tutto quello che abbiamo vissuto, l’avremmo considerata
una bassezza. Ma avremmo pagato.
Siamo abituati e siamo stati educati ad assumerci la responsabilità di ciò
che facciamo. Abbiamo violato una norma? Pronti a pagare. Ciò che invece non
siamo disposti a fare è stare in silenzio quando viene minacciata la chiusura,
sanzione non prevista da alcuna normativa. Infatti, secondo il dettato
legislativo (art. 49 comma 3 L.R 15/07 – art. 11 BURL 14.02.11), in caso di
violazione degli standard obbligatori minimi è prevista unicamente – unicamente
– una sanzione pecuniaria.
Perché dovremmo chiudere? Chi vuole chiudere Ostello Bello? Perché dovrebbe
chiudere una struttura considerata dai propri ospiti il secondo miglior nuovo
ostello al mondo ed il primo in Italia? Perché tale accanimento verso un
progetto che coinvolge più di 15 lavoratori? Noi siamo pronti ad assumerci ogni
responsabilità.
Ma un’illegittima minaccia di chiusura non la accettiamo e ci difenderemo
in ogni sede opportuna.
Adesso basta.
E’ ora di cambiare.
Ostello Bello
Nessun commento:
Posta un commento