Il venezuelano Ramirez ebbe tre figli.
Il primo, lo chiamò Vladimir; il secondo Ilich, il terzo Lenin.
La qual scelta onomastica vi offre un’idea che più chiara non si può di come la pensasse politicamente.
Dei tre, oggi ci occupiamo solo del secondo, cioè di Ilich.
Ilich ha studiato a Mosca, all’Istituto per l’amicizia fra i popoli. All’epoca, infatti, c’era ancòra un istituto che, com’è esplicitato nella sua stessa denominazione, si ispirava ai valori, poi dissoltisi nei fumi dell’alcol ingurgitato a fiumi dal servo della CIA e noto etilista-antileninista Eltsin, dell’Internazionalismo proletario.
Ilich aveva peraltro rifiutato una borsa di studio alla Sorbona. Perché voleva vivere e studiare nella Patria del proletariato al potere, della Rivoluzione d’ottobre. Ilich, infatti, al pari di altri giovani della sua generazione e della sua epoca, voleva “salvare il mondo”. Per questo, aveva deciso di schierarsi a fianco degli oppressi, dovunque essi si trovassero.
I più oppressi, in quegli anni, erano i Palestinesi. La cui causa attirava gli idealisti ed i Rivoluzionari di ogni parte del mondo. Così, scelse di militare nei campi dei rifugiati palestinesi, a fianco dei combattenti giapponesi dell’Armata Rossa e di quelli tedeschi della RAF. E della guerrigliera Leila Khaled, che diverrà ben presto un simbolo per i combattenti rivoluzionari dell’epoca. Anche perché era la dimostrazione concreta che non necessariamente la bellezza fisica si accompagna, come nel caso dell’attuale ministro Maria Elena Boschi, alla stupidità personale più insulsa e vuota.
Rivoluzionario di professione, compagno ideale di lotta del Che Guevara, Ilich ha combattuto nelle fila del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), contro gli invasori sionisti; ha assaltato banche e, a Vienna, nel 1975, ha preso in ostaggio undici ministri dei Paesi produttori di petrolio (OPEC). Divenuto ben presto un autentico mito rivoluzionario, prese il nome di battaglia di “Carlos”. A cui, i suoi nemici, aggiunsero quello, denigratorio, di “Sciacallo”, in omaggio all’eroe del romanzo di Forsyth “I giorni dello Sciacallo”.
Mentre però lo Sciacallo di Forsyth combatteva solo e soltanto per denaro, Carlos lottava per la libertà dei popoli oppressi e per la Rivoluzione comunista. Da internazionalista coerente.
Non era mai stato e non era un agente del KGB, come si ostinavano a sostenere i suoi detrattori: era invece un partigiano, Un partigiano che aveva scelto la parte in cui militare: quella dell’Unione Sovietica, del Paese di Lenin e di Stalin, della Rivoluzione per tutti e dunque dappertutto.
Dopo il crollo dell’URSS, nel 1991, Carlos si rifugiò in Sudan. Dove, tre anni dopo, venne catturato dai servizi segreti francesi, estradato in Francia, giudicato e condannato all’ergastolo per aver eliminato, al momento dell’arresto, due gendarmi.
Da allora sono trascorsi più di vent’anni. Più della metà dei quali Carlos li ha passati in regime di isolamento totale, una misura detentiva che le autorità francesi hanno preso, su istigazione e per conto degli yankees e dei sionisti, per cercare di condurlo alla pazzia.
Ciò nonostante, Ilich è riuscito a sopravvivere, a vincere anche la sua ennesima battaglia.
Di recente, in un’intervista, ha dichiarato non solo di seguitare, in un momento in cui la corsa al pentimento ed alla diserzione di classe è più affollata di piazza San Pietro in occasione dei comizi pap(p)ali, ad essere “comunista”, di “stimare Putin” e di ritenere che “sia una buona cosa” il fatto che “sia al potere”, “perché il mondo ha bisogno di una Russia forte, di una Terza Roma slava, sulla base dell’ortodossia e del comunismo”.
Oggi Carlos langue ancòra nelle galere francesi, da dove, raccontano le (poche) cronache a lui dedicate, “guarda con speranza a Mosca”.
E dove non rinuncia ad augurarsi che seguitino ad esserci compagni che si ricordano di lui.
Noi, per quel poco che può valere, siamo senz’altro fra quelli. Perché i compagni di ieri e di oggi sono compagni per sempre.
Il primo, lo chiamò Vladimir; il secondo Ilich, il terzo Lenin.
La qual scelta onomastica vi offre un’idea che più chiara non si può di come la pensasse politicamente.
Dei tre, oggi ci occupiamo solo del secondo, cioè di Ilich.
Ilich ha studiato a Mosca, all’Istituto per l’amicizia fra i popoli. All’epoca, infatti, c’era ancòra un istituto che, com’è esplicitato nella sua stessa denominazione, si ispirava ai valori, poi dissoltisi nei fumi dell’alcol ingurgitato a fiumi dal servo della CIA e noto etilista-antileninista Eltsin, dell’Internazionalismo proletario.
Ilich aveva peraltro rifiutato una borsa di studio alla Sorbona. Perché voleva vivere e studiare nella Patria del proletariato al potere, della Rivoluzione d’ottobre. Ilich, infatti, al pari di altri giovani della sua generazione e della sua epoca, voleva “salvare il mondo”. Per questo, aveva deciso di schierarsi a fianco degli oppressi, dovunque essi si trovassero.
I più oppressi, in quegli anni, erano i Palestinesi. La cui causa attirava gli idealisti ed i Rivoluzionari di ogni parte del mondo. Così, scelse di militare nei campi dei rifugiati palestinesi, a fianco dei combattenti giapponesi dell’Armata Rossa e di quelli tedeschi della RAF. E della guerrigliera Leila Khaled, che diverrà ben presto un simbolo per i combattenti rivoluzionari dell’epoca. Anche perché era la dimostrazione concreta che non necessariamente la bellezza fisica si accompagna, come nel caso dell’attuale ministro Maria Elena Boschi, alla stupidità personale più insulsa e vuota.
Rivoluzionario di professione, compagno ideale di lotta del Che Guevara, Ilich ha combattuto nelle fila del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), contro gli invasori sionisti; ha assaltato banche e, a Vienna, nel 1975, ha preso in ostaggio undici ministri dei Paesi produttori di petrolio (OPEC). Divenuto ben presto un autentico mito rivoluzionario, prese il nome di battaglia di “Carlos”. A cui, i suoi nemici, aggiunsero quello, denigratorio, di “Sciacallo”, in omaggio all’eroe del romanzo di Forsyth “I giorni dello Sciacallo”.
Mentre però lo Sciacallo di Forsyth combatteva solo e soltanto per denaro, Carlos lottava per la libertà dei popoli oppressi e per la Rivoluzione comunista. Da internazionalista coerente.
Non era mai stato e non era un agente del KGB, come si ostinavano a sostenere i suoi detrattori: era invece un partigiano, Un partigiano che aveva scelto la parte in cui militare: quella dell’Unione Sovietica, del Paese di Lenin e di Stalin, della Rivoluzione per tutti e dunque dappertutto.
Dopo il crollo dell’URSS, nel 1991, Carlos si rifugiò in Sudan. Dove, tre anni dopo, venne catturato dai servizi segreti francesi, estradato in Francia, giudicato e condannato all’ergastolo per aver eliminato, al momento dell’arresto, due gendarmi.
Da allora sono trascorsi più di vent’anni. Più della metà dei quali Carlos li ha passati in regime di isolamento totale, una misura detentiva che le autorità francesi hanno preso, su istigazione e per conto degli yankees e dei sionisti, per cercare di condurlo alla pazzia.
Ciò nonostante, Ilich è riuscito a sopravvivere, a vincere anche la sua ennesima battaglia.
Di recente, in un’intervista, ha dichiarato non solo di seguitare, in un momento in cui la corsa al pentimento ed alla diserzione di classe è più affollata di piazza San Pietro in occasione dei comizi pap(p)ali, ad essere “comunista”, di “stimare Putin” e di ritenere che “sia una buona cosa” il fatto che “sia al potere”, “perché il mondo ha bisogno di una Russia forte, di una Terza Roma slava, sulla base dell’ortodossia e del comunismo”.
Oggi Carlos langue ancòra nelle galere francesi, da dove, raccontano le (poche) cronache a lui dedicate, “guarda con speranza a Mosca”.
E dove non rinuncia ad augurarsi che seguitino ad esserci compagni che si ricordano di lui.
Noi, per quel poco che può valere, siamo senz’altro fra quelli. Perché i compagni di ieri e di oggi sono compagni per sempre.
Luca Ariano
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