"Le
compagnie petrolifere sono controllate da stranieri, che grazie ad esse hanno
guadagnato milioni. Ora, i libici devono trarre profitto da questo
denaro", Muammar Gheddafi, 2006.
Il Wall
Street Journal del 5 maggio fornisce la prova, oltre a quelle già raccolte, che
alla radice dell'intervento militare della NATO in Libia dello scorso anno vi
era l'opposizione alla politica economica del governo Gheddafi.
Secondo
il quotidiano statunitense, gli accordi più favorevoli ai libici, che il
governo Gheddafi stava contrattando, fecero infuriare le compagnie petrolifere
private tanto da "sperare in un cambio di regime in Libia... che potrebbe
alleggerire alcune delle dure condizioni che avevano dovuto accettare nella
partnership" con la compagnia petrolifera nazionale libica. [1]
Per
decenni, molte compagnie europee avevano goduto di accordi che garantivano loro
la metà della del petrolio di alta qualità prodotto negli impianti libici.
Alcune grandi compagnie petrolifere speravano che il paese avrebbe aperto ulteriormente
agli investimenti, dopo che da Washington erano state revocate le sanzioni nel
2004 e i giganti statunitensi erano rientrati nella nazione nordafricana.
Ma negli
anni che seguirono, il regime di Gheddafi rinegoziò la quota delle compagnie
petrolifere spettante da ogni impianto, facendola passare dal 50% circa a un
decisamente più basso 12%.
Subito
dopo la caduta del regime, diverse compagnie petrolifere straniere hanno
manifestato la speranza di ottenere condizioni migliori negli accordi esistenti
o più interessanti per quelli futuri. Fra quelle che nutrono speranze in
un'espansione libica vi sono la francese Total e l'olandese Shell.
"Vediamo
la Libia sotto il nuovo governo come una grande opportunità", diceva Sara
Akbar, amministratore delegato della compagnia privata Kuwait Energy, lo scorso
novembre in un'intervista, e aggiungeva che "Sotto Gheddafi, le
esplorazioni erano ferme a causa dei termini molto duri". [2]
Il
giornale aveva già riferito dei termini "duri" (leggasi pro-libici)
che il governo Gheddafi aveva imposto alle compagnie petrolifere straniere.
Nel
quadro di un nuovo e più stringente sistema, noto come EPSA-4, il regime
vagliava le offerte delle grandi compagnie discriminando sulla base di quanta
parte della produzione futura avrebbero lasciato la Libia. I vincitori
abitualmente promettevano oltre il 90% della loro produzione alla National Oil
Corp. (NOC, la compagnia nazionale petrolifera libica).
Intanto,
la Libia manteneva i suoi gioielli off limits agli stranieri. Gli immensi campi
petroliferi terrestri, che rappresentavano la maggior parte della sua
produzione, rimanevano prerogativa delle compagnie statali libiche.
Anche le
imprese da anni presenti in Libia avevano ricevuto un trattamento duro. Nel
2007, le autorità iniziarono a forzarle per rinegoziare i loro contratti per
portarli in linea con EPSA-4.
Una
vittima è stata Eni, il colosso energetico italiano. Nel 2007, ha dovuto pagare
1 miliardo di dollari di incentivi per riuscire a prolungare la durata dei suoi
interessi libici fino al 2042. Anche la sua quota di produzione è caduta dal
35-50%, a seconda dell'impianto, ad appena il 12%. [3]
L'insoddisfazione
delle compagnie petrolifere stava anche nel fatto che la compagnia di stato
libica "stabiliva che le società straniere dovevano assumere libici ai
migliori posti di lavoro". [4]
Nel
novembre 2007, il dipartimento di Stato degli Stati Uniti avvertiva che
"la leadership politica ed economica della Libia persegue politiche sempre
più nazionalistiche nel settore energetico" e che vi erano "prove
crescenti di nazionalismo sulle risorse libiche" [5], citando un discorso
del 2006 in cui Gheddafi dichiarava: "Le compagnie petrolifere sono
controllate da stranieri che grazie ad esse hanno guadagnato milioni. Ora, i
libici devono trarre profitto da questo denaro". [6]
Il
Governo di Gheddafi aveva forzato le compagnie petrolifere a dare alle loro
filiali locali dei nomi libici. Peggio ancora, "le leggi sul lavoro sono
state modificate per 'libianizzare' l'economia", vale a dire riformate a
vantaggio dei libici. Le compagnie petrolifere "sono state spinte ad
assumere dirigenti, tecnici e capi del personale libici". [7]
Il New
York Times riassume così le critiche dell'Occidente. "Il colonnello
Gheddafi si è dimostrato essere un partner problematico per le compagnie
petrolifere internazionali, alzando spesso tasse ed imposte ed avanzando altre
richieste". [8]
Anche se
l'opposizione delle compagnie petrolifere private e del governo degli Stati
Uniti alle politiche economiche filo-libiche di Gheddafi non prova che
l'intervento militare della NATO sia avvenuto per rovesciare il governo, è
tuttavia coerente con tutta una serie di prove che vanno in questa direzione.
In primo
luogo, possiamo rigettare le argomentazioni occidentali che spiegano l'impiego
della sua alleanza militare per motivi umanitari. Mentre la guerra civile in
Libia diventava incandescente, un'alleanza di petromonarchie a guida saudita
inviava truppe e carri armati in Bahrain per schiacciare una rivolta. Stati
Uniti, Gran Bretagna e Francia - alla guida dell'intervento in Libia - non
hanno fatto nulla per fermare questa violenta repressione. Significativamente,
il Bahrain ospita la V Flotta statunitense. Altrettanto significativamente, la
sua politica economica, a differenza della Libia sotto Gheddafi - è stata
concepita per mettere gli investitori stranieri al primo posto.
In
secondo luogo, quei paesi oggetto dei tentativi occidentali di cambio di regime
- Corea del Nord, Siria, Venezuela, Cuba, Zimbabwe, Bielorussia, Iran - hanno
posto gli interessi economici di tutta o una parte della loro popolazione,
sopra quelli degli investitori e delle società straniere. È vero che le
politiche economiche di India, Russia e Cina sono in certe misure nazionaliste
e che questi paesi non devono affrontare nella stessa misura le pressioni per
un cambio di regime, ma per un'alleanza statunitense sono troppo grandi da
conquistare senza un pesante costo in sangue e denaro. L'Occidente prende di
mira i più deboli.
Infine, i
governi occidentali sono dominati da grandi investitori e compagnie. Il dominio
delle corporation e della finanza sullo Stato avviene in diversi modi: con
attività di lobby; comprando i politici attraverso il finanziamento della
campagna elettorale e la promessa di incarichi remunerativi dopo il mandato;
attraverso il finanziamento di think-tank per guidare la politica del governo e
con la collocazione di amministratori delegati e avvocati aziendali nelle
posizioni chiave dello Stato. Aspettarsi che la politica estera sia modellata
su preoccupazioni di carattere umanitario e non invece sugli interessi delle
industrie petrolifere, di armi, delle società specializzate nella ricostruzione
e esportazione post-bellica, significa di ignorare la grande influenza che il
grande capitale e la grande finanza esercitano sugli Stati occidentali.
In alcune
parti del mondo è diverso. Là, i governi hanno orientato le economie al
servizio dei loro cittadini, piuttosto che mettere il lavoro, i mercati del
paese e le loro risorse naturali, al servizio degli investitori esterni e delle
grandi aziende straniere.
Per aver
rifiutato di sacrificare la vita dei loro cittadini all'arricchimento dei
titani stranieri della finanza e dell'industria, a questi paesi viene fatto
pagare un prezzo. I loro dirigenti sono vilipesi dalla becera propaganda e
minacciati di persecuzioni da parte dei tribunali penali internazionali
finanziati e controllati dagli Stati occidentali. Sono colpiti con devastanti
blocchi economici e da sanzioni le cui caotiche conseguenze sono ingiustamente
addossate alla "cattiva gestione" e alle "errate" politiche
economiche, con lo scopo di creare una miseria diffusa e spingere le
popolazioni a sollevarsi contro i loro governi. Con il finanziamento e supporto
occidentale vengono create delle quinte colonne per progettare il cambiamento
di regime dall'interno. Infine, l'onnipresente minaccia di un intervento
militare esterno che è mantenuta per fare pressione sui governi di questi paesi
affinché facciano marcia indietro.
I peccati
di Gheddafi non erano crimini contro l'umanità, ma azioni al suo servizio. La
sua reputazione infangata, il governo rovesciato, il paese assediato
dall'esterno e destabilizzato dall'interno, la sua vita finita per aver osato
mettere in atto un'idea radicale - spingere l'economia al servizio del popolo
del proprio paese, piuttosto che il suo popolo e le sue risorse naturali al
servizio degli interessi delle imprese straniere.
Fonte - http://gowans.wordpress.com/2012/05/06/gadhafis-crime-making-libyas-economy-work-for-libyans/
Note
1, 2. Benoit Faucon, "For big oil, the Libya
opening that wasn't, " The Wall Street Journal, May 4, 2012.
3, 4. Guy Chazan, "For West's oil firms, no love lost
in Libya, " The Wall Street Journal, April 15, 2011.
5, 6, 7. Steven Mufson, "Conflict in Libya: U.S.
oil companies sit on sidelines as Gaddafi maintains hold, " The Washington
Post, June 10, 2011.
8. Clifford Kraus, "The scramble for access to
Libya's oil wealth begins, " The New York Times, August 22, 2011.
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