17 ottobre 2011

Venezuela: dallo sviluppismo alla politica economica della decrescita


Tratto da: www.senzasoste.it
 venezuela_socialismoAbbiamo trovato interessante questo articolo perché ci dà un’idea del dibattito politico in corso in America Latina, e in particolare in quei Paesi, come il Venezuela e la Bolivia, la cui economia si basa sullo sfruttamento dei grandi giacimenti di combustibili fossili (petrolio e gas naturale). Da un lato la riappropriazione di queste risorse, che prima venivano svendute ad opera di classi politiche corrotte e autoritarie, sta permettendo una politica di redistribuzione del reddito verso il basso e favorisce l’integrazione continentale nel segno di una nuova autonomia; dall’altro, i Paesi progressisti rischiano di rimanere legati a un modello di sviluppo ormai insostenibile e dipendente dalle fluttuazioni dell’economia globale, vanificando i processi rivoluzionari in corso. In questo senso appare estremamente innovativa la proposta del governo ecuadoriano di non sfruttare i giacimenti petroliferi scoperti nel parco nazionale dello Yasuní, in cambio di finanziamenti per progetti sociali e si supporto comunitario (red.)

Jesse Chacón - Rebelión




La rivoluzione bolivariana ha avviato a partire dal 2006 un intenso processo politico, economico e sociale per destrutturare i rapporti capitalistici e sganciarsi dal giogo globale del capitale nella costruzione della rotta nazionale; tuttavia non ci siamo accorti che il nodo centrale della riproduzione capitalista sta nella filosofia della crescita e dello sviluppo, che continuiamo a ossequiare quotidianamente. L’asse della riproduzione capitalistica sta nello sviluppismo come via per rendere illimitati la crescita e il consumo in un contesto ambientale ed economico limitato.
Il modello della crescita è legato al nostro modello energetico e produttivo petrolifero, i nostri obiettivi di sviluppo produttivo finiscono per privilegiare la strada di crescere illimitatamente, questo senza dubbio è il nostro ideale, ma che cos’è che deve crescere? Nelle strategie di sviluppo sociale affermiamo la qualità della vita della gente, il buen vivir; ma nelle strategie produttive, l’accento rimane sull’espansione dello sfruttamento petrolifero, per il quale si pensano pochissimi limiti e non si visualizza quello ambientale. In fin dei conti si guardano come esternalità; ma nemmeno si visualizzano i limiti di una struttura mono-esportatrice che dipende al cento per cento dalle condizioni della geopolitica e dell’economia globale per la sua espansione e sostenibilità.
Restiamo drammaticamente intrappolati nel ciclo del capitale che vogliamo spezzare, il nostro “sviluppo” e “crescita” dipendono dalla stabilità dell’accumulazione capitalista su scala globale, i cattivi auspici per il capitalismo internazionale sono cattivi auspici per noi. In realtà siamo anche noi il capitalismo, siamo uno strumento fondamentale per la sua riproduzione a partire dal modello energetico del petrolio e la garanzia per riprodurre la forma di società e consumo che è diventata realtà nel nostro Paese.
Vediamolo con precisione: il 16 agosto le borse europee, dopo aver avuto notizia dello stallo dell’economia tedesca che è visto come il fattore fondamentale di freno dell’economia della zona Euro, sono crollate, e l’interconnessione del capitale ha bloccato tutto, così Francoforte è scesa del 2,3%, Madrid dell’1,5%, Parigi ha ceduto l’1,2% e Londra lo 0,8%. Da parte sua la borsa di New York ha aperto in calo, gli indicatori dell’industria e della tecnologia sono scesi, il Dow Jones ha perso lo 0,65% e il Nasdaq l’1,18%.
Il contesto preliminare di questa crisi è stata la crisi dei pagamenti del debito estero nordamericano, il suo scontro politico interno sulla possibilità di aumentare il tetto del suo debito e il successivo rating di Standard & Poor’s (S&P), che ha retrocesso la qualificazione creditizia degli Stati Uniti da AAA a AA+ il 5 de agosto.
Sulla difficoltà di pagamento del debito estero nordamericano, il presidente Obama ha affermato: “Negli ultimi dieci anni abbiamo speso più di quanto potevamo. Nel 2000 il governo aveva un attivo, ma invece di usarlo per pagare i nostri conti, abbiamo speso miliardi di dollari in sgravi fiscali e in due guerre”.
L’impatto per la nostra economia non si è fatto attendere, il prezzo del greggio venezuelano ha iniziato un calo sostenuto da $ 107,84 il 29 luglio a $ 103,45 il 5 agosto, arrivando a $ 95,15 il 12 agosto.
Di fronte a questo panorama, il prestigioso intellettuale nordamericano Immanuel Wallerstein ha detto: “il dollaro è entrato in un processo grave e irreversibile di perdita di valore come moneta di riserva mondiale, era l’ultimo potere serio che rimaneva agli Stati Uniti. I danni sono un fatto concreto, la situazione degli Stati Uniti è grave e non è recuperabile, gli sviluppi ci saranno nel giro di due o tre anni, con risultati caotici per il sistema mondiale”.
Nel frattempo la Cina, che è vista come il supporto e il punto di riferimento attuale dell’economia mondiale, comincia a ricevere allarmi sul suo sistema finanziario e sulla sua futura crescita economica, dal momento che si trova in una posizione di gigantesco rischio essendo il principale possessore di buoni statunitensi. La vulnerabilità e il rischio in cui sta entrando l’economia cinese implica conseguenze fatali specialmente per i Paesi latinoamericani la cui crescita viene guidata dall’Asìa, non dall’Europa né dagli Stati Uniti.
L’orizzonte per il Venezuela è uguale o peggiore di quello vissuto con la contrazione economica mondiale del 2008, momenti di picchiata delle entrate petrolifere che vengono a mostrare il limite finanziario delle nostre politiche sociali garantiste.
Como proteggerci? Come mantenere il nostro percorso ascendente nel superamento della povertà e nel miglioramento della qualità della vita della nostra gente? Siamo certi che la risposta non è la classica formula neoliberista di ridurre la spesa pubblica e scaricare sulle spalle del popolo la crisi creata dai capitalisti.
La nostra alternativa consiste nel configurare, in vista del prossimo piano nazionale di sviluppo 2012-2021, un nuovo approccio basato non sulla crescita, ma sulla decrescita. La decrescita fa riferimento a una prospettiva economica e ambientale che stima che la crisi climatica e la crisi strutturale del capitalismo potranno essere superate solo da sinistra se si abbandona il modello di sviluppo produttivista, il suo culto per la crescita senza tener conto dei limiti, oltre alla sopravvalutazione del modello energetico e tecnico-scientifico attuale.
Cosa significa questo per il Venezuela? Significa comprendere che ci stiamo avvicinando a un limite del tempo storico dove gli elementi fondamentali per la nostra sopravvivenza e riproduzione come società sono l’energia, il cibo e l’acqua, e non i classici obiettivi finanziari e industriali. Di conseguenza, significa approfondire la costruzione e la materializzazione di un nuovo modello energetico sostenibile, superare il petrolio per la generazione elettrica, superare il petrolio per la dinamizzazione della nostra industria, superare il petrolio come icona di civiltà.
La decrescita per il Venezuela significa anche focalizzarci sul cibo come alternativa alla crisi, produrre i nostri propri alimenti a partire da modelli tecnologici propri, perché faremo poco se attiviamo un modello agroproduttivo dipendente dalla valuta estera per l’importazione di tecnologie, risorse e sementi. Si potrebbe argomentare che già lo stiamo facendo; ma è necessario riconoscere quanto sia limitato questo sforzo, è urgente capire che stiamo scivolando verso una situazione globale che porterà una crisi di dimensioni mai da noi conosciute.
La decrescita significa anche ricostruire un nuovo senso per l’industrializzazione, nel passato il fallimento del modello sostitutivo è stato provocato da un assenza di consapevolezza sulle proprie forze e valori, è rimasta la preminenza di modelli culturali e di consumo stranieri dal momento che si sono disprezzate le proprie capacità nazionali. Dobbiamo ricostruire tessuti industriali molto più integrati nei territori, molto più sinergici con le potenzialità e i bisogni locali.
Non stiamo parlando di apocalisse, parliamo della costruzione di una politica responsabile e capace di scongiurare, da sinistra, la crescente crisi del capitalismo globale che nel decennio in corso affliggerà tutto il pianeta.
La costruzione di una strada per lo sviluppo endogeno, articolata con l’America Latina e rispettosa dell’ambiente sarà il nostro antidoto, di fronte all’imminente collasso del modello finanziario capitalista globalizzato.

Traduzione per Senzasoste di Andrea Grillo, 16.10.2011
 

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