22 dicembre 2011

Tensione tra Cuba e Stati Uniti per il petrolio nel Mar dei Caraibi

La possibilità che Cuba estragga il petrolio nella sua Zona Economica Esclusiva nel mar dei Caraibi ha suscitato reazioni isteriche negli Usa.
Nel 2005 alcune compagnie canadesi hanno trovato petrolio di alta qualità nella Zona Economica Esclusiva (ZEE) assegnata a Cuba nel Golfo del Messico a seguito degli Accordi di Divisione Marittima del 1997 con il Messico e gli USA.
Oggi, la possibilità che Cuba possa cominciare ad estrarre petrolio dalla sua zona di pertinenza, ha provocato un’isterica reazione della congressista del Partito Repubblicano per la Florida Ileana Ros-Lehtinen, che pretende la criminalizzazione delle trivellazioni da parte di Cuba per evitare che la barriera corallina ne tragga danno. Anche un altro deputato repubblicano della Florida, Vern Buchanan, si oppone alle trivellazioni perché ”potrebbero essere una minaccia per il turismo e l’ambiente della Florida”. Già nel 2007, l’ex senatore repubblicano della Florida Mel Martínez, aveva presentato un progetto di legge che proponeva chiare misure punitive per le compagnie straniere, ritirando loro i visti e multando chi investiva nel petrolio cubano, in quanto lo sviluppo del petrolio cubano “va contro la politica di sicurezza nazionale degli USA”.
Al di là di qualsiasi mistificazione ecologistico/turistica raccattata oggi dalla Ros-Lehtinen, la realtà è che, se Cuba trova il petrolio nelle quantità e qualità preannunciate dai sondaggi, si potrebbe assolutamente affrancare da qualsiasi embargo USA e, al pari del Venezuela, crearsi una sua autonomia energetica e, addirittura, diventare esportatore dell’oro nero.
Attualmente, a causa dell’embargo, la compagnia statale petrolifera cubana Cubapetróleo (Cupet), non avendo potuto acquistare i materiali necessari, ha dovuto servirsi di una compagnia italiana, che a sua volta ha subappaltato a una cinese, per la costruzione della piattaforma estrattiva Scarabeo 9.
La piattaforma potrà perforare fino a 3.600 metri.
Presto la ditta spagnola Repsol-YPF comincerà le operazioni in uno dei 59 blocchi della ZEE e difficilmente il nuovo governo di Rajoi opporrà negative a questo contratto, contrariamente a quanto spererebbe il senatore democratico della Florida Bill Nelson (in una lettera a Hillary Clinton). Nelson suggerisce pure il ritiro unilaterale dagli Accordi di Divisione Marittima. Meno male che i Democratici di Obama sono considerati quelli “buoni” e pacifici da premio Nobel preventivo……
Altre imprese hanno già contratti per altri blocchi: Petronas (Malesia), Gazprom (Russia), CNPC (Cina), Petrobras (Brasile), Sonangol (Angola), Petrovietnam (Vietnam) y PDVSA (Venezuela).
In tutto ciò la Ros-Lehtinen continua a far finta di preoccuparsi dei coralli mettendo in dubbio le capacità tecniche delle trivellazioni che farebbero i cubani (o la Repsol per i cubani) senza però chiedere regolamentazioni severe e specifiche per la BP, per esempio, neanche dopo la catastrofe ambientale da questa provocata l’anno scorso. Anche le perforazioni della messicana statale Pemex (con lunghe esperienze di esplosioni in terra e mare) sembrano non essere preoccupanti per la signora Ros-Lehtinen, che, mentre alla BP ha almeno chiesto risarcimenti per le strutture turistiche e pescherecce, al Messico non ha chiesto proprio nulla.
Anche per il futuro sono previste nuove perforazioni, a cura della Bahamas Petroleum Company (BPC), proprio a nord est di Cuba e il Dipartimento degli Interni degli USA ha già concesso altri 37 permessi di esplorazioni sottomarine, tra cui ad alcune compagnie straniere coinvolte nel progetto cubano (che in questo caso sono considerate invece ecologiche e sicure…). Persino la BP ha presentato una nuova richiesta.
Con tutto questo pullulare di interessi sul Golfo, i deputati della Florida pensano al corallo messo a repentaglio dalla Repsol (solo per la parte della zona di Cuba, nelle altre zone del Golfo dove perfora Repsol, forse, il corallo non c’è…).
Questa storia rasenta il grottesco, ma è una cosa seria. Molto seria. In Honduras nel 2009 è stato pilotato addirittura un colpo di stato contro il presidente Manuel Zelaya che aveva ostato fare accordi con il Venezuela di Chavez proprio in relazione al petrolio, entrando in Petrocaribe. Anche contro Haiti sono state messe in moto iniziative per evitare che entrasse nell’orbita venezuelana (secondo quanto rivelano alcuni scritti desecretati da WikiLeaks.
Petrocaribe è un programma di portata regionale che si occupa dei sondaggi, raffinazione e distribuzione del petrolio della compagnia statale venezuelana PDVSA. Anche Cuba, ovviamente, è in Petrocaribe e, a prescindere dalle nuove future perforazioni nel Golfo, ha già accordi, tramite la Cupet, per la raffinazione, immagazzinamento e imbarco del petrolio e prevede la costruzione di nuove raffinerie.
Petrocaribe è una macchina per lo sviluppo dei paesi membri e ha impianti in Haiti, Nicaragua e Giamaica, nonché vari progetti di energie rinnovabili e progetti persino per il turismo, la sanità, le abitazioni e l’istruzione.
È una delle ormai tante istanze comuni che l’America Latina sta mettendo in campo per la sua indipendenza di area (ALBA, UNASUR, TELESUR, CELAC, ULAN).

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