Carlos Caszely
Santiago del Cile, 21 novembre 1973.
A due mesi dal golpe militare che ha
portato al potere il generale Augusto Pinochet, la nazionale di calcio si gioca
la qualificazione ai Mondiali dell'anno successivo, in programma in Germania
Ovest: sulla strada dei sudamericani c'è lo spareggio contro la temibile Unione
Sovietica. Il 26 settembre a Mosca va in scena il match di andata: le due
squadre chiudono a reti inviolate grazie all'eccellente prestazione dei
centrali difensivi cileni Quintano e Figueroa. Il ritorno è in programma nella
capitale cilena: lo stadio nazionale, da luogo dedicato allo sport più popolare
del mondo, è diventato in men che non si dica un grande campo di concentramento
a cielo aperto. Gli spalti si trasformano in prigioni, gli spogliatoi nel luogo
delle fucilazioni, i sotterranei nelle camere di tortura.
L'eco della triste trasformazione dell'Estádio
Nacional solca gli oceani e giunge in tutto il mondo: i sovietici si
rifiutano di giocare in uno stadio pieno di prigionieri politici, chiedono di
far disputare il match di ritorno in campo neutro ed invitano la Fifa ad
effettuare delle verifiche all'interno dell'impianto. Gli ispettori del massimo
organo calcistico mondiale, però, non ravvisano alcuna irregolarità e concedono
l'agibilità all'Estádio Nacional. Ma l'Urss, frattanto, non si schioda
dalla sua posizione: in segno di protesta, non scenderà in campo. La Roja
allenata da Luis Álamos viene invitata dalla
Federcalcio nazionale a presentarsi comunque allo stadio, con la consapevolezza
che i sovietici sono rimasti a Mosca: la vittoria a tavolino per 2-0 qualifica
di diritto il Cile ai prossimi Mondiali.
I militari approfittano dell'occasione per
radunare sugli spalti migliaia di tifosi che assistono ad una delle più grandi
pantomime nella storia dello sport: la nazionale cilena scende in campo contro un avversario fantasma, con un
arbitro austriaco che si presta alla messinscena, pronto a dare il fischio
d'inizio di un'assurda contesa. Dopo essere passato tra i piedi di nove diversi
giocatori, il pallone finisce a Carlos Caszely,
popolare attaccante del Colo Colo e fervido sostenitore di Allende: deciso a
calciarlo in fallo laterale per non prestarsi alla farsa sceneggiata dal
regime, all'ultimo istante lo passa al capitano Francisco Valdés, figlio di
operai e militante di sinistra, l'incaricato di depositare la sfera nella porta
sguarnita. Valdés, al rientro negli spogliatoi, si rinchiude in bagno ed inizia
a vomitare. Anche Caszely si sente un vigliacco e con lui tutti gli altri
giocatori: la paura che serpeggiava prima dell'incontro adesso cede spazio alla
vergogna.
Berlino Ovest, 14 giugno 1974. Il Cile esordisce ai Mondiali contro i padroni di
casa della Germania Ovest: i tedeschi rompono gli indugi con una staffilata di
Breitner, il terzino sinistro maoista, e mantengono l'esiguo ma prezioso
vantaggio sino alla fine. Non è una giornata memorabile per Caszely: El
Gerente - questo il suo soprannome - tenta di scalciare il difensore
avversario Vogts e si fa espellere, divenendo così il primo calciatore nella
storia dei Mondiali a vedersi sventolare il cartellino rosso, introdotto
nell'edizione precedente.
La Roja, orfana del suo principale terminale offensivo, pareggia il successivo incontro con la Germania Est (1-1) per poi chiudere mestamente con uno scialbo 0-0 contro la modesta Australia. L'uscita di scena è tanto immediata quanto ingloriosa, il rosso della maglia sembra coincidere con il sangue di cui il regime si è macchiato, così come sporca era la qualificazione del Cile ai Mondiali.
Per anni quella stessa maglia sarà
interdetta a Caszely, a causa della sua avversione a Pinochet: viene richiamato
per la Copa America del 1979, nel corso della quale trascina i compagni in
finale, e poi contribuisce alla qualificazione per i Mondiali di Spagna del
1982. Qui Carlitos fallisce un rigore nell'incontro con l'Austria: la stampa
cilena lo accuserà di averlo fatto intenzionalmente per le sue simpatie
socialiste. Chiude la sua esperienza in nazionale con 49 presenze e 29 reti:
attualmente è il terzo miglior marcatore di sempre nella storia della Roja,
dopo l'ex laziale Marcelo Salas e l'ex interista Ivan Zamorano. Nel 1985 si
ritira dall'attività agonistica: la sua ultima partita si chiude come una
tumultuosa manifestazione politica, contrassegnata da numerosi incidenti.
Dopo aver vissuto per anni con un
profondo senso di vergogna per non aver fatto niente per il suo paese, per gli
amici seviziati e fucilati allo stadio, Caszely decide di uscire allo scoperto.
Corre l'anno 1988: le norme transitorie della Costituzione, scritta e
voluta dallo stesso Pinochet, prevedono l'indizione di un referendum per votare
un nuovo mandato presidenziale della durata di 8 anni. Nella propaganda
elettorale televisiva Caszely diventa protagonista di un duro spot contro il
dittatore: l'ex attaccante racconta la cruda storia di sua madre, sequestrata e
torturata dai golpisti.
La sua popolarità, specie tra i cileni
che avevano subito gli orrori del regime, contribuisce alla sorprendente
vittoria del fronte del No con il 58% dei consensi: la Costituzione stessa
prevede adesso libere elezioni per l'anno successivo. Alle urne i cileni
decidono di voltare pagina, scegliendo il candidato avversario Patricio
Aylwin, esponente di centrosinistra: tuttavia, Pinochet rimane a capo
dell'esercito fino al 1998, divenendo in seguito senatore a vita con il beneficio
dell'immunità parlamentare e ricevendo nel frattempo (1993) una speciale
benedizione da parte del papa Giovanni Paolo II. Muore il 10 dicembre 2006,
dopo diciassette anni di dittatura e 30mila vittime sulla coscienza e senza un
solo giorno trascorso in un carcere.
Intervistato da una radio spagnola,
Caszely, divenuto nel frattempo giornalista sportivo e commentatore in patria
per l'emittente tv Canal 13, ha raccontato all'indomani della scomparsa
del dittatore: "Nella nazionale cilena non ci fu mai un sì o un no: non si
parlava di politica". E poi: "Tutte le volte in cui ho incontrato
Augusto Pinochet in occasioni ufficiali non l'ho salutato né gli ho dato
la mano, non mi sono mai piaciuti i dittatori.
Credo nella democrazia e credo anche di
essere stato l'unico calciatore democratico degli anni Settanta".
grazie a:
Grazie a te per aver condiviso la storia e, soprattutto, per avermi citato!
RispondiEliminaSimone