Divisa fra
nove paesi, l’Amazzonia con i suoi sette milioni di chilometri quadrati, le sue
innumerevoli risorse e la sua ricchissima biodiversità è l’ultima frontiera
verde che fa gola all’economia neoliberista nell’attuale crisi. Oggi più che
mai le popolazioni indigene che hanno curato per millenni questo immenso
territorio sono minacciate dalla penetrazione devastante delle multinazionali e
dal surriscaldamento planetario, che rischia di provocare la “savanizzazione”
dell’intero bacino fluviale.
La lotta del
movimento indoamazzonico non è solo in difesa del proprio habitat ma anche per
la sopravvivenza e il benessere del pianeta. E i popoli originari, oltre ad
offrire resistenza ai piani di saccheggio del grande capitale, presentano una
proposta di “vida plena” – una relazione armoniosa fra natura e società
che gli andini chiamano buen vivir – a tutta l’umanità.
Alberto
Pizango Chota è un apu del popolo Shawi (ora Kampu Piyawi, che vuol dire
“noi la gente”) dell’Amazzonia peruviana. Proviene da una comunità “vicino a
Chayahuita” nella regione di Loreto. Più che un leader politico o spirituale,
un apu è un portavoce e un consigliere del suo popolo. Pizango è
presidente dell’Aidesep (Asociación Interétnica de Desarrollo de la Selva
Peruana), che rappresenta piú di 300mila indigeni dell’Amazzonia. Anche se
sono meno del due per cento della popolazione peruviana, gli abitanti originari
della selva svolgono un ruolo cruciale nella preservazione di quell’ecosistema,
minacciato dall’avanzata delle compagnie petrolifere e dell’industria
estrattiva.
La difesa
del loro habitat, che è allo stesso tempo una lotta a favore della natura e
delle generazioni future, gli sta costando aggressioni e stragi come quella di
Bagua (5/6/09); esili come quello dello stesso Pizango e di altri dirigenti
(“Undici mesi e venti giorni è durato il mio esilio in Nicaragua”, dice);
inganni come la ley de consulta previa approvata dal governo di Ollanta
Humala, che obbliga presuntamente lo Stato a consultare le comunità per
qualunque progetto che riguardi i loro territori, una legge che è stata
presentata come la soluzione storica alle rivendicazioni dei popoli originari
ma rappresenta solo l’ultima versione degli inganni governativi di sempre.
Nello studio alternativo che le organizzazioni indigene amazzoniche e
andine del Perù hanno appena presentato, per il quinto anno consecutivo,
sull’(in)osservanza del Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del
Lavoro, richiama l’attenzione il fatto che più di un quarto del territorio nazionale
è stato dato in concessione all’industria mineraria e che il governo di Humala
non ha diminuito né il volume né il ritmo delle concessioni petrolifere e
gasifere né i progetti di megacentrali idroelettriche.
Nessun commento:
Posta un commento