Il 1 Gennaio del 1994 il mondo scopriva l’EZLN: Esercito
Zapatista di Liberazione Nazionale.
Il Messico, nel giorno dell’entrata in vigore del NAFTA
(Trattato di Libero Commercio del Nord America), scopriva il Chiapas e
conosceva una guerra che aveva il sapore di un movimento politico e sociale che
impugnava le armi per non doverle mai più utilizzare, non per conquistare il
potere ma per contrastare il neoliberismo e conquistare diritti per gli
indigeni discendenti dei Maya.
Lasciamo la storia ufficiale e la storiografia da libro per
raccontare un piccola parte di questa grande storia, quella che i libri di
storia e i media non raccontano. Questa storia inizia una decina di anni prima,
il 17 Novembre del 1983, quando un gruppo di sei persone entra nella Selva
Lacandona con l’intenzione di organizzare la più classica delle guerriglie del
continente americano. L’incontro/scontro con le originali popolazioni indigene
che si erano rifugiate in quei magnifici quanto impervi luoghi dell’entroterra
del Chiapas obbligherà i fondatori dell’EZLN a rivedere e di molto le proprie
intenzioni e trasformarsi in quello che oggi conosciamo.
Una storia lunga 30 anni, una storia piena di immagini, lotta,
sofferenza e sogno. La guerra, intesa come conflitto armato tra esercito
messicano e guerriglieri indigeni, dura 12 giorni. Sette città vengono prese
militarmente all’alba del primo giorno dell’anno, scontri cruenti soprattutto a
Ocosingo dove si conteranno la maggior parte dei morti tra cui il Comandante
Hugo. La prima dichiarazione della Selva Lacandona viene letta dal comandante
Felipe dal balcone del palazzo del municipio di San Cristobal De Las Casas. La
caduta del Subcomandante Pedro, leggendario comandante militare dell’EZLN morto
nella presa de Las Margaritas e che il mondo non conobbe se non per l’eco,
l’onore ed il rispetto che le popolazioni Tojolabal e Tzeltal della Selva
Lacandona gli dedicano con tanto di murales e striscioni alla Realidad. Una
mobilitazione popolare di forse un milione di persone che obbliga il governo
federale messicano a firmare il cessate il fuoco ed un tregua, ancora oggi in
vigore e tuttavia almeno due volte tradita (9 Febbraio ’95, estate ’98). Donne
indigene comandanti, miliziane, responsabili politiche come la Comandante
Ramona, piccola ma immensa donna, colei che impose all’organizzazione zapatista
la legge rivoluzionaria delle donne indigene, legge che impose ed impone alle
comunità zapatiste di riconoscere la parità di doveri e diritti tra uomini e
donne. Una legge che fece capire al mondo come una rivoluzione si può fare solo
se è capace di rivoluzionare prima di tutto i rapporti sociali interni al corpo
rivoluzionario. Il resto è davvero sui libri di storia.
Questa storia non ci racconta solo di un movimento
politico/sociale e militare capace di imporre letture, agenda politica e di
cambiare fondamentalmente il modo di comunicare, usare linguaggi, concepire
immaginari e di fare politica per tutti coloro che si trovano in basso a
sinistra ma ci parla anche di un’opposizione alla riforma dell’art. 27 della
Costituzione messicana, costituzione nata dalla rivoluzione di Zapata e Villa, la
battaglia contro la riforma agraria. Un’opposizione praticata occupando e
collettivizzando oltre 700.000 ettari di terreno non solo per gli zapatisti ma
per tutti gli abitanti dei territori sotto il controllo dell’EZLN. Estendendo
il concetto ci parla di una resistenza capace di impedire lo sfruttamento del
territorio per meri interessi economici e poco importa se questi interessi
siano la messa a resa massiva ed industriale di un campo (o allevamento)
piuttosto che la realizzazione di un maxi-progetto di ecoturismo o
annientamento delle biodiversità in favore dell’imposizione delle colture ogm.
Quel famoso YA BASTA gridato il 1 Gennaio del 1994 è forte, vivo
e attuale e oggi si materializza non tanto nelle cose elencate qui sopra, e già
non sarebbe poco, ma nella costruzione di una zona autonoma autogovernata
sperimentando il metodo della democrazia diretta. EZLN e governo firmarono nel
1996 i famosi accordi di San Andres accordi che, in parole povere, avrebbero
dovuto garantire agli indigeni di vivere nei loro territori secondo le antiche
tradizioni. Questi accordi non sono mai stati applicati, così le comunità
autonome zapatiste hanno deciso di applicarli autonomamente e lo stanno
facendo. Sanità, giustizia, educazione, e gestione del territorio sono oggi
autonome e assolutamente costruite e portate avanti senza nessun aiuto da parte
del governo e da un po’ di tempo anche senza l’aiuto dell’EZLN inteso come
corpo militare. Le cariche sono elettive a rotazione, periodicamente, se si fa
parte dell’organizzazione, bisogna assumersi cariche di responsabilità in uno
dei 3 livelli che lo richiede (locale, municipale o di zona). Le comunità
possono togliere le responsabilità nel caso di malagestione del ruolo.
Probabilmente l’unico esempio mondiale di una zona totalmente autogovernata
capace di resistere a cinque presidenti e otto governatori oltre che alle
volontà di grandi multinazionali e delle teorie neoliberali.
Lo zapatismo non è la panacea dei movimenti e nello zapatismo
non va cercata la soluzione a quello che non si riesce a costruire, non è
nemmeno perfetto come movimento. Tante delle cose che teorizza e pratica tutti
i giorni sono lontane dall’essere realizzate al 100% (si pensi allo sviluppo
del ruolo della donna o del rapporto con l’omosessualità) ma bisogna anche
pensare che questa storia è breve, ha trent’anni, e non si cambiano gli usi e
costumi di una società millenaria in poco tempo. Forse è da apprezzare il
lavoro interno quotidiano che stanno svolgendo per completare questo percorso.
Lo zapatismo è una rivoluzione dalle due velocità: quella contro governo e
neoliberismo e quella interna alle stesse comunità. Il governo in questi venti
anni non è certo rimasto a guardare e più volte ha provato a cancellare dalla
storia la lotta zapatista, prima con l’uso dell’esercito, poi con quello dei
paramilitari e adesso con la pratica della guerra di bassa intensità ovvero con
la creazione di progetti di sviluppo per le comunità indigene basati su
elemosina costante e aiuti inutili quali regalie di telefonini, antenne
paraboliche e abbonamenti Sky. Elemosine che crescono quando una famiglia
decide di abbandonare la lotta. Non possiamo non negare che sono molte le
famiglie che stanno facendo questa scelta, ma parimenti non possiamo non
raccontare di quante sono le nuove famiglie che decidono di aderire alla lotta.
Per spiegare come sia possibile questo fenomeno occorrerebbero molte righe,
penso però sia interessante ragionare su come progetti di sviluppo per le
comunità indigene siano stati pensati dal governo solo come antidoto allo
zapatismo; cosa ne sarà di queste famiglie e di questa elemosina se un giorno
l’EZLN dovesse essere sconfitto? Chi si domanda cosa gli zapatisti abbiano
fatto in questi venti anni, dovrebbe anzitutto rispondere alla domanda precedente.
La forza organizzativa e strutturale mostrata dalle comunità
zapatiste e dalle Giunte del Buon Governo nell’organizzare l’escuelita e la
marcia del 21 Dicembre dello scorso anno era impensabile solo qualche anno fa,
la capacità di produrre ragionamento politico e immaginari universali è
costante e lo dimostrano le diverse migliaia di persone che dal Messico e dal
mondo intero ogni anno arrivano ad appoggiare la lotta del sud-est messicano.
Tratto da: http://milanoinmovimento.com/
Tratto da: http://milanoinmovimento.com/
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