Quella dei desaparecidos argentini è una tragedia ancora
avvolta nella nebbia.
Da quando, nel 1977, le madri di Plaza de Mayo a Buenos Aires
cominciarono a chiedere la verità sui loro figli, di tanto in tanto l’alone del
mistero si squarcia.
Emergono storie, come quella riportata a galla dal giornalista scrittore Claudio Fava (sceneggiatore del film «I cento passi») che nel romanzo «Mar del Plata» ha raccontato la vicenda della squadra di rugby La Plata, decimata dai bravi di Videla ma rimasta in campo a giocare fino a fine campionato perché «tutti non ci potranno ammazzare».
Emergono storie, come quella riportata a galla dal giornalista scrittore Claudio Fava (sceneggiatore del film «I cento passi») che nel romanzo «Mar del Plata» ha raccontato la vicenda della squadra di rugby La Plata, decimata dai bravi di Videla ma rimasta in campo a giocare fino a fine campionato perché «tutti non ci potranno ammazzare».
Una storia che comincia nel 1978 quando, proprio con lo
sport, il Regime voleva proporsi al mondo come modello vincente e alzò al cielo
la coppa del mondo di calcio. Ma mentre Kempes segnava, Otilio Pascua, mediano
di apertura, veniva ritrovato nel fiume con le mani legate dietro alla schiena
e con un foro di proiettile alla testa. La colpa? Aver simpatizzato per il
movimento studentesco. Storia che decolla col raccoglimento nella partita
successiva - un minuto che diventano dieci - e che si conclude con l’ultima
partita in uno stadio gremito che grida «viva la libertà» in faccia ai
colonnelli. «Il desiderio di scriverne - spiega Fava - nacque quando, in uno
dei miei viaggi in Argentina, lessi gli articoli del giornalista Gustavo Veiga
che aveva ritrovato l’ultimo superstite di quella squadra». I nomi e alcuni
riferimenti geografici (Mar del Plata è una città a 410 km da Buenos Aires, i
fatti si svolsero invece a La Plata a 59 km dalla capitale) sono romanzati: «Sì
- ammette Fava - ho ricostruito secondo la mia sensibilità. Ma Raul, il nome
del sopravvissuto, i 10’ di raccoglimento, gli snodi fondamentali e la cornice
della storia, sono autentici».
Un romanzo che Fava ha fatto precedere da alcuni articoli scritti su L’Unità e che hanno messo sulle tracce della storia del Rugby La Plata anche un’altra scrittrice, Monica Zornetta. Lei si è recata in Argentina sui luoghi dell’accaduto. Sta scrivendone un libro di documenti e testimonianze. «Molti a La Plata ancora ignorano l’accaduto - spiega - Anche il club ha da poco scoperto una targa commemorativa ma senza enfasi. C’è scritto: “Si ricordano i ragazzi vittime della dittatura militare“, ma senza i nomi. C’è solo la foto in bianco e nero di quella squadra». Nemmeno Dominguez, argentino ed ex pilastro della nostra nazionale della palla ovale, ne aveva mai sentito parlare: «Certo, conosco il La Plata, ma di questa storia non ne sapevo nulla».
Oblio difficile da battere in un’Argentina che, nonostante i due ergastoli e i 50 anni di carcere a Videla, il capo della giunta militare che dal 1976 al 1983 oppresse il paese, ancora deve fare i conti col passato. Per questo Fava nel romanzo non offre paralleli col nostro ventennio «sul quale hanno fatto luce la guerra e la storia», ma sulla lotta alla mafia. «Perché lì, come qui, c’è ancora un’area grigia dove si nascondono collusi e sodali di una guerra sporca. Quella dittatura, così come la mafia, voleva conquistare il potere e colpire e annientare ogni forma di dissenso». Ma qualcuno riuscì lo stesso a correre veloce e andare in meta.
Un romanzo che Fava ha fatto precedere da alcuni articoli scritti su L’Unità e che hanno messo sulle tracce della storia del Rugby La Plata anche un’altra scrittrice, Monica Zornetta. Lei si è recata in Argentina sui luoghi dell’accaduto. Sta scrivendone un libro di documenti e testimonianze. «Molti a La Plata ancora ignorano l’accaduto - spiega - Anche il club ha da poco scoperto una targa commemorativa ma senza enfasi. C’è scritto: “Si ricordano i ragazzi vittime della dittatura militare“, ma senza i nomi. C’è solo la foto in bianco e nero di quella squadra». Nemmeno Dominguez, argentino ed ex pilastro della nostra nazionale della palla ovale, ne aveva mai sentito parlare: «Certo, conosco il La Plata, ma di questa storia non ne sapevo nulla».
Oblio difficile da battere in un’Argentina che, nonostante i due ergastoli e i 50 anni di carcere a Videla, il capo della giunta militare che dal 1976 al 1983 oppresse il paese, ancora deve fare i conti col passato. Per questo Fava nel romanzo non offre paralleli col nostro ventennio «sul quale hanno fatto luce la guerra e la storia», ma sulla lotta alla mafia. «Perché lì, come qui, c’è ancora un’area grigia dove si nascondono collusi e sodali di una guerra sporca. Quella dittatura, così come la mafia, voleva conquistare il potere e colpire e annientare ogni forma di dissenso». Ma qualcuno riuscì lo stesso a correre veloce e andare in meta.
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